Il percorso di Mario è un viaggio musicale ricco di sfumature e contaminazioni. Un musicista
eclettico che ha fatto del tamburello il suo strumento d’elezione, esplorando le diverse tradizioni
musicali d’Italia e del mondo.
In questa intervista, Mario ci racconta la sua storia, le sue passioni e il suo rapporto con il
tamburello. Un dialogo che ci condurrà alla scoperta di uno strumento antico e versatile, capace
di regalare emozioni uniche.
Siete curiosə di conoscere meglio Mario e il suo tamburello? Allora non perdetevi questa
intervista!
Mario, benvenuto! Come hai iniziato a suonare il tamburello?
Ciao e grazie per il benvenuto! Devo dire che Pianeta mi fa sentire sempre a casa.
Ho cominciato a suonare intorno ai 14 anni, stimolato dall’ambiente di casa e dal giro dei miei
coetanei tra i quali c’era molta voglia di condividere energia ed emozioni con la musica, nel
contesto di uno dei tanti paesini dell’Appenino Campano.
Il mio primo approccio è stato con il basso elettrico, per poi passare alla batteria che è lo
strumento che ancora oggi mi accompagna nel viaggio. Il tamburello è arrivato
successivamente: a Napoli, durante i primi anni d’università dove, tra gli studi di antropologia e
di demologia (lo studio delle tradizioni popolari) mi sono interessato agli aspetti della musica
popolare dell’Italia meridionale. Da qui è scaturito il percorso che mi ha portato ad approfondire
lo studio degli stili del tamburello italiano e dei tamburi a cornice di altre tradizioni.
Quali sono le caratteristiche che rendono il tamburello uno strumento unico e speciale? E quali
sono le sue potenzialità musicali?
Il tamburello è uno strumento relativamente semplice nella sua essenzialità: una pelle montata
su un telaio circolare, fornito di asole in cui vengono imperniate coppie di sonagli. Anche
l’approccio appare piuttosto facile, in quanto basta percuoterlo e il suono che ne scaturisce è
immediato (pensiamo in contrapposizione a strumenti come gli ottoni ad es.). Eppure la sua
particolarità sta nel possedere una gamma di suoni molto ricca e diversificata, capace di una
notevole varietà espressiva, il ché lo rende applicabile a ogni possibile stile musicale.
Naturalmente questo è possibile a partire dalla conoscenza della sua “grammatica” di colpi,
posizioni e oscillazioni.
Il tamburello è spesso associato alla musica popolare e tradizionale. Come si inserisce questo
strumento nel panorama musicale contemporaneo? E quali sono le sue possibili applicazioni in
generi musicali diversi?
Certo, l’associazione più immediata di questo strumento è relativa alla musica popolare. A livello
di immaginario collettivo probabilmente evoca in particolar modo la musica salentina e forse un
po’ le tammurriate e le tarantelle calabresi. Ma oltre a essere diffuso in tutto il Centro-Sud in una
molteplicità di stili e repertori, le sue tecniche sono molto ben applicabili alla musica
contemporanea, fino a essere d’ausilio dell’elettronica (in passato del resto maestri come C.W.
Gluk e W.A. Mozart avevano già inserito parti di tamburello nelle loro composizioni).
In questo caso parliamo di “tamburo moderno” e cioè la ricombinazione e ri-funzionalizzazione
delle tecniche tradizionali per la creazione di linguaggi di “sintesi” adattabili a generi diversi.
In questo il tamburello è avvantaggiato dai suoni che può esprimere, molto vicini a quelli della
batteria.
La tua esperienza di insegnante: quali sono le sfide e le soddisfazioni più grandi che incontri nel
tuo lavoro? Come si struttura il tuo percorso didattico per gli studenti di tamburello?
Come dicevo prima, il tamburello viene comunemente percepito come uno strumento semplice
da suonare, per poi scoprire che in realtà richiede un certo apprendimento per imparare a
gestire la complessità di colpi e posizioni e la raffinatezza delle tecniche impiegate.
Probabilmente la sfida più grande sta nel far cadere questo velo, ma nel contempo la più grande
soddisfazione sta nel condurre le persone alla scoperta di un mondo che spesso non
sospettano ed essere testimoni di quanto poi ciò li appassioni.
Il percorso didattico si struttura attraverso le lezioni individuali in cui si applicano esercizi ritmici
che permettono di conoscere i suoni basilari dello strumento e i movimenti corretti per ottenerli.
C’è poi lo studio dei repertori tradizionali italiani le cui tecniche vengono scomposte e
approfondite; si impara a riconoscere le differenze tra gli stili e i contesti in cui vengono
applicati. Non mancano degli sguardi agli stili europei ed extra-europei su come il tamburo viene
suonato e concepito. In più ci sono i momenti dedicati al tamburo moderno e fasi di natura più
sperimentale, soprattutto nell’ambito dei laboratori collettivi.
Secondo te, quali sono le doti più importanti per un bravo tamburellista? E quali consigli daresti
a chi si approccia a questo strumento per la prima volta?
Personalmente trovo che il tamburello “inizi a cantare” dal momento in cui ai colpi sulla pelle
corrispondono i movimenti del tamburo stesso, coerenti con la tecnica impiegata e addirittura
prevalenti rispetto ai movimenti della mano che batte sulla membrana. In genere le suonate che
trovo più coinvolgenti ed emozionanti le ho sempre ascoltate da parte di tamburellisti che non
impiegano il tamburo rigidamente ma al contrario in maniera fluida, accompagnandolo nei
movimenti e facendolo oscillare sugli assi, aumentandone di fatto volume e profondità.
Dunque credo che un buon consiglio per i primi approcci con questo strumento sia di
considerare che tutto il corpo è partecipe del suono e del suonare e deve esserlo a partire da un
posizionamento rilassato, non contratto, e di gestire le eventuali tensioni attraverso il respiro. A
partire da queste condizioni si ha tutto il potenziale per diventare degli ottimi tamburellisti.
Per concludere, c’è un messaggio che vorresti trasmettere a chi sta pensando di intraprendere
lo studio del tamburello?
Credo che il tamburello sia un ottimo strumento per la sua versatilità! Può essere trasportato
dappertutto e i contesti musicali in cui poterlo suonare sono potenzialmente sterminati. Studiare
il tamburello (così come studiare ogni strumento, dedicarsi ad una disciplina) è un’attività che fa
bene allo spirito; un tempo impiegato per la cura della sfera personale ed anche di quella
sociale. Perché studiare la musica ti porta a voler suonare con gli altri. E la musica popolare ha
la capacità di andare molto forte in questa direzione.